Roberto Scarpetti

Roberto Scarpetti

09/12/2021
Mostra all’ Acquario Civico Milano

Il Naufragio può essere una metafora forte e drammatica, applicabile a molteplici aspetti della vita di ognuno di noi, sia nella sfera intima, privata, che in quella pubblica. Naufragi personali o naufragi collettivi.
Il naufragio di questo occidente che sembra alla ricerca di una nuova identità. Di una nuova anima. O il naufragio del pianeta terra che non siamo stati in grado di salvaguardare. Il naufragio delle nostre vite improvvisamente cambiate dalla pandemia.
O il naufragio di una cultura sempre più alla deriva. Piccoli naufragi quotidiani, o grandi naufragi sociali.

Eppure, lasciando da parte il gioco delle metafore che gettate così al vento rischiano di banalizzare un po’ tutto, credo che più che i nostri destini amorosi, culturali, sociali, siano i nostri corpi a far le spese di un naufragio.
Non è un caso che l’accento nel titolo della mostra di Barbara Pietrasanta stia sulla prima parola: Naufraghi. Ed è questa parola a rimanere più impressa, al punto che sull’evento del naufragio in sé si può anche sorvolare. Quel che conta è il dopo, sono i corpi che sopravvivono ai vari naufragi, metaforici o reali che siano.
Ed è su questi corpi, sui nostri corpi, che si disegnano i destini del mondo, come un tatuaggio che non abbiamo voluto, come qualcosa impressa nei nostri occhi, nei solchi delle rughe sui nostri volti. Il naufragio come un destino che rimane marchiato sui corpi dei naufraghi. È questo che mi evocano le opere di Barbara Pietrasanta, nella collezione di “Naufraghi e naufragi”. Corpi di donne che emergono dal mare o sul mare abbandonate, donne senza alcun vestito, o con solo una sottoveste resa trasparente dall’acqua, donne su spiagge accecanti come accecante è il mare. Volti di donne attraversati da una calma che a me appare come un’indecifrabile speranza. E un solo uomo, forse, l’unico a non esser sopravvissuto al naufragio.
Queste immagini mi spingono a pensare che niente possa contare oltre ai corpi, i nostri, quelli dei veri naufraghi, o quelli dipinti da Barbara. E così non importa più cosa sia accaduto prima, non importa fino a dove ci abbia spinto il mare. Non importa il motivo, o la dinamica, e nemmeno la tragicità del naufragio. Quel che conta è la condizione di naufrago. È il dopo. Il dopo come una grande opportunità che non bisogna lasciarla sfuggire tra le mani.
In una delle domande che Barbara mi ha posto per il video della mostra mi chiedeva cosa succede il giorno dopo il naufragio.
Ecco, io credo che il giorno dopo il naufragio sia tutto diverso perché è diverso il modo in cui percepiamo le cose attorno a noi. Il naufragio ci obbliga a guardare il mondo con uno sguardo nuovo. E cambiando lo sguardo, cambia la nostra percezione della realtà che ci circonda.
Il giorno dopo il naufragio non conta più il prima, non conta il naufragio stesso, conta unicamente la condizione in cui siamo, ognuno di noi, tutti naufraghi, ciascuno con la sua storia unica e personale, ciascuno diverso, ma tutti nella stessa condizione. Una condizione che ci rende anche solo per un momento simili, e che può essere forse l’unica via per capire o sentire gli altri.

Roberto Scarpetti