“Risvegli”

“Risvegli”

07/06/2021

RISVEGLI | Barbara Pietrasanta | Studiodieci Vercelli a cura di Diego Pasqualin
dal 21 maggio al 13 giugno 2021

Tutto ciò che non riesco a dire Sprofonderà nel mio silenzio. Eppure io vivo, nell’avanti (l’avanti è l’amore) io vivo, convinto che la mia morte rimarrà dietro, trascinandosi confusa, senza avvenire, senza saggezza. (Adonis, La foresta dell’amore in noi, Ugo Guanda Editore, Milano, 2017. Pag. 29) Capita che durante il giorno io mi fermi, per un’attimo, per qualche minuto o anche per un po’ più di tempo e mi conceda Tempo: per pensare, per respirare, per guardare…

Capita che durante il giorno io mi fermi, per un’attimo, per qualche minuto o anche per un po’ più di tempo e mi conceda Tempo: per pensare, per respirare, per guardare. Non sempre capita, ma quando avviene è come svegliarsi ancora, senza orologio e senza il trauma del mattino che spezza quel che restava della notte in un sogno che, di certo non ricorderò. Quando ho la possibilità di concedermi a questa magia, generalmente, mi concedo anche un caffè. Forse perché sono italiano e appartengo a quella che, più che un’abitudine, è una cultura del vivere tra sapori, aromi e colori; oppure è perché sento un bisogno corroborante per il mio corpo, ma ancor di più per la mia mente, ed è qui che mi risveglio ancora. 

Stropiccio i miei occhi e cerco maggiore ossigeno. Non è solo un’azione involontaria, perché sento il bisogno di altre forme d’ossigeno: dall’amore alla cultura, dal sorriso che ho la speranza di trovare sul tuo volto che incrocio per strada, alla necessità di insistere a mettere un piede davanti all’altro mentre mi sforzo di continuare a guardare avanti, nonostante tutto. 

Cammino per i vicoli romantici di un centro troppo stanco e assonnato della mia amata Vercelli, come sempre approdo a StudioDieci: ossigeno artistico, polmone contemporaneo, da cinquant’anni a servizio di chi si desta da quel tepore, per non dire torpore, in cui è più facile rifugiarsi. Il nuovo evento della rassegna in vetrina dedicata ad una resistenza culturale contro una situazione storica inaspettata, questa volta, è dedicato alla pittura. Dopo due anni torna ad esporre Barbara Pietrasanta, con una selezione di opere che raccolgono tre momenti diversi della produzione di quest’artista milanese. Nei suoi quadri raffigura i tormenti che, dall’intimità alla collettività, contraddistinguono e accomunano gli individui, ma nel medesimo tempo, ha anche la capacità di descrivere e cogliere, perché a suo tempo sa accogliere e lasciarsi influenzare, da tutti quelli che sono gli avvenimenti che stanno delineando l’oggi.

Forse dietro a questa cortina di vetro si celano le possibili risposte ai quesiti che Pietrasanta lascia in sospeso nell’altra sua mostra personale che, in parallelo, si sta svolgendo all’interno dell’Acquario Civico di Milano, dal titolo NAUFRAGHI E NAUFRAGI; perché saper guardare avanti, richiede l’esser stato in grado di aver guardato bene indietro. Nessuna dietrologia o malinconia, ma la necessità di riconoscere che vi è un naturale divenire di tutte le cose. Non penso alle conseguenze, la vita non sempre si adatta alle leggi della fisica, perché abbraccia le incognite sulle quali spesso inciampo, che vengono a me o, più probabilmente, mi hanno attratto a mia insaputa verso di loro.

Ripenso alla volta in cui ho creduto di morire in un bagno di una Crêperie, durante uno degli attentati che hanno segnato la Francia e, nonostante questo, non riesco ad immedesimarmi in quei giovani che quella lontana sera di un novembre si erano ritrovati al Bataclan. Ecco così che la prima vetrina di S10 diviene ancora più cupa del nero che già domina in tutto lo spazio. Una donna. Un corvo. Figure lontane. Silenzio. Inquietudine. Il segno grafico utilizzato da Pietrasanta in questo quadro diventa quasi un filo che delinea i soggetti e li lega gli un agli altri. Non vi è via di scampo, per questo l’immagine è magnetica, coraggiosa per la scelta del tema, perché saper guardare avanti, richiede l’esser stato in grado di aver guardato bene indietro. 

Approdo nelle vetrine centrali e le opere esposte sono più dolci. I colori si sono schiariti e i riflessi dei vetri si mescolano ai bagliori luminosi che incorniciano le donne ritratte, tra panneggi di lenzuoli che, forse, raccontano le pieghe di notti voluttuose, o di quegli ultimi momenti di rilassamento in cui cerco il coraggio di alzarmi ancora. Per fortuna c’è il caffè. C’è il totale abbandono ai pensieri e a me stesso. Cerco di entrare in sintonia con i personaggi di questi quadri, ma sono, a loro volta, troppo assorte nella propria intimità che ogni tentativo cade perché la loro è una presenza-assenza. Sono qui, ma altrove. Qui per me, ma altrove col pensiero. Nei loro sguardi c’è il domani, quello sconosciuto, ma desiderato, atteso e che diverrà: RISVEGLIO.

L’ultima vetrina è inaspettata e risuona nel mio cuore come un’esplosione. Vi è colore, tanto colore. Vi è un’equilibrio compositivo che lega indissolubilmente queste due tele, ma che costituiscono un’unico lavoro.
È forse questo l’enigma che si cela dietro alla produzione di Barbara Pietrasanta? 
Come le onde del mare che tentano di trovare casa ogni volta che si spingono sulla riva, così è la notte che ogni giorno ricopre la terra con la sua oscurità; la stessa che, a sua volta, ogni giorno si risveglia. L’onda ci riprova ancora e ed io mi preparo ad un’altro caffè. Ascolto il vento che in questo momento mi sta accarezzando e tenendo compagnia. Nel tornare a casa per concludere questo testo lascio alle mie spalle studiodieci e le opere di questa grande artista contemporanea. Cammino e sorrido, emozionato dalla lezione che Arte, ancora una volta, mi sta offrendo. 

E Q U I L I B R I O
Equilibrio tra me e me.
Equilibrio tra me e la natura.
Equilibrio tra me e te.
Equilibrio tra quello che sono stato e mi ha reso quello che sono.
Equilibrio tra quello che sono e che un giorno sarò.
Equilibrio perché per saper guardare avanti, devo esser stato in grado di aver guardato bene indietro e aver messo, armonicamente e in comunicazione, i vari aspetti di me. 
Sbadiglio.
Sorrido.
Ancora una boccata d’ossigeno.
Risveglio.

Diego Pasqualin | StudioDieci